Lelio Demichelis
«Se non esci da te stesso, non puoi sapere veramente chi sei. E bisogna allontanarsi dall’isola per vedere com’è fatta veramente un’isola, così come bisogna allontanarsi da se stessi, per vedere chi si è realmente», scriveva il portoghese José Saramago.
Ed è ciò che ha fatto, venerdì, papa Francesco, parlando ai leader ( sic!) europei. Lui, argentino anche se di origini italiane, ha guardato da lontano questa Europa e ne ha offerto una lettura sociale e antropologica che più vera e insieme più europeista non si poteva, mettendone in luce tutti i punti critici, le mancanze e le contraddizioni e soprattutto il suo nuovo (l’ennesimo) nichilismo esistenziale e politico. Di più: papa Francesco ha offerto anche una ricetta per guarire questa Europa dai mali a cui economia e ordoliberismo l’hanno incatenata.
Che tutto questo lo abbia fatto papa Francesco è in verità molto imbarazzante. Soprattutto per un laico impenitente e non credente come chi scrive, è davvero imbarazzante dover ammettere che le riflessioni migliori sui sessant’anni dell’Europa, indegnamente celebrati ieri a Roma, siano state pronunciate dal papa. Dovendo subito dopo riconoscere una seconda verità altrettanto imbarazzante: che le cose peggiori sull’Europa le hanno fatte due grandi media come Corriere della sera e Repubblica (e i rispettivi siti), di fatto nascondendo ancora una volta le parole del papa (e ha ragione Luciano Canfora quando sottolinea la sproporzione tra la overdose di presenza mediatica di Giovanni Paolo II e quella minimale di papa Francesco) o riassumendole in dieci righe scarse (come Repubblica cartacea), invece di analizzarle e rilanciarle come una sorta di possibile Nuovo Manifesto di Ventotene (e non credo me ne vorranno male - dicendo questo - Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Ursula Hischmann e Eugenio Colorni - anzi).
Ma cosa ha detto di così scandaloso, papa Francesco?
In primo luogo ha richiamato quella cosa che abbiamo tutti rimosso, ovvero la memoria. Una memoria che «non può essere solo un viaggio nei ricordi», perché la memoria (la storia), «sarebbe sterile se non servisse a indicarci un cammino», oggi diremmo un nuovo cammino e soprattutto un cammino diverso da quello tecnocratico/ordoliberista di Berlino e di Francoforte, convinti come siamo che di più Europa abbiamo bisogno, ma di un’Europa diversa. E invece, ha detto ancora Francesco, «i nostri giorni» sembrano davvero dominati da un totale «vuoto di memoria» che ha di fatto cancellato la fatica occorsa per far cadere quel muro che divideva l’Europa («quell’innaturale barriera dal Mar Baltico all’Adriatico»), ben simboleggiato dal Muro di Berlino. Ma invece di ricordare, ora in Europa si discute di come e dove costruire nuovi muri per lasciare fuori quella «colonna di donne, uomini e bambini in fuga da guerra e povertà, che chiedono solo la possibilità di un avvenire per sé e per i propri cari». Ma Francesco è andato oltre (forse il suo scandalo è anche in questo) e ha parlato della necessità di «edificare società autenticamente laiche, scevre da contrapposizioni ideologiche, nelle quali possano trovare ugualmente posto l’oriundo e l’autoctono, il credente e il non credente». E quindi, e conseguentemente, ecco il suo richiamo al concetto e alle buone pratiche di solidarietà, «quanto mai necessaria oggi davanti alle spinte centrifughe, come pure alla tentazione di ridurre gli ideali fondativi dell’Unione alle necessità produttive, economiche e finanziarie» - Francesco rivendicando così un’Europa soprattutto sociale e solidale. Una «solidarietà che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi» e che non deve quindi rimanere solo «un buon proposito» ma deve diventare la mappa per azioni politiche «caratterizzate da fatti e gesti concreti, che avvicinino al prossimo, in qualunque condizione si trovi. Al contrario, i populismi fioriscono proprio dall’egoismo, che chiude in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la limitatezza dei propri pensieri e di guardare oltre».
È quindi alla politica che Francesco si rivolge perché «eviti di far leva sulle emozioni per guadagnare consenso, e piuttosto elabori politiche che facciano crescere tutta quanta l’Unione in uno sviluppo armonico, così che chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa». Che è cosa ben diversa, ci pare, dall’aberrante idea, oggi tornata di gran moda, di un’Europa a due velocità. Ma soprattutto - e qui entriamo nel campo della politica come cura della polis, quella politica che l’Europa ha appunto e invece rinnegato facendosi tecnocrazia o democratura: «L’Europa non è un insieme di regole da osservare, non è un prontuario di protocolli e procedure da seguire». Perché, ha aggiunto - ricordandoci implicitamente che società non è sinonimo di mercato, come invece vorrebbero farci credere i neoliberisti e gli ordoliberali - «lo sviluppo non è dato da un insieme di tecniche produttive. Esso riguarda tutto l’essere umano: la dignità del suo lavoro, condizioni di vita adeguate, la possibilità di accedere all’istruzione e alle necessarie cure mediche».
No, non è stata una predica quella di Francesco: piuttosto (pur con alcune cose che da laico e non credente non posso condividere) un discorso di alto profilo politico e culturale. Che vuole provare a ricordarci che l’economia è solo un mezzo al servizio dell’uomo (che è il fine, e lo diceva anche Kant), che mezzo (per il profitto o per il dogma del pareggio di bilancio) non lo deve quindi essere l’uomo, che la società deve essere laica e solidale, che la politica non è un prontuario di protocolli e di procedure da seguire, che «la parola crisi ha origine nel verbo greco crino, che significa investigare, vagliare, giudicare. Il nostro è dunque un tempo di discernimento, che ci invita a vagliare l’essenziale e a costruire su di esso: è dunque un tempo di sfide e di opportunità». Ma qualcuno - in Europa e soprattutto a sinistra - sa ancora il significato di questi concetti? E sa uscire dalla propria autoreferenzialità ordoliberista, guardare a cosa si è (è stata) ridotta l’Europa (macerie di se stessa; incubo, da sogno che era) e provare a imboccare un nuovo cammino?
Imbarazzante davvero, che a ricordarcelo sia un papa. Sia pure di nome Francesco.