Rete dei Ricercatori precari Bologna
Come i vecchi spettri di una volta i ricercatori precari si aggirano nelle università italiane. Un uno, nessuno, centomila nascosto, negletto, calmierato dai «stringi la cinghia ancora un po’, dài», ma di fatto definibile in un solo modo: persone che, come e più di altri attori, sostengono, mandano avanti, tappano i buchi di ciò che resta dell’università pubblica. Quanti sono i precari della ricerca oggi in Italia? Domanda ricca di insidie e fondamentalmente senza risposta, nemmeno nei piani alti ministeriali. Uno studio dell’Università di Milano ci ricorda che i corsi tenuti a contratto sono oltre cinquantamila, quasi la metà di tutti i corsi complessivi, ma è ovvio che il riferimento ai corsi non può risolvere la questione. Per risolvere la questione, si dovrebbe provare a classificarle queste figure sparse, queste dimensioni parallele. Ci sono gli assegnisti, che hanno una borsa mensile per uno, due, quattro anni (sempre più raramente ormai) e che, oltre la loro ricerca, sono costretti a fare mille altre cose. Ci sono i dottorandi, che rischiano di essere i futuri precari di domani. Ci sono i cultori della materia, definizione fumosa, malinconicamente démodé, che ci ricorda di altri tempi e altre situazioni, e che ancora inquadra centinaia, migliaia di ricercatori ed ex ricercatori che in un qualche modo fanno attività di «volontariato nell’università». Ci sono i collaboratori alla didattica che offrono, per pochi euro, un’attività essenziale di ricevimento, insegnamento (a volte interi corsi o moduli) e altro. E ci sono i docenti a contratto di cui prima, quelli che per un massimo di 2.000-2500 euro all’anno e un minimo di 0 euro (anni, mesi, giorni in questo caso non contano) svolgono un’attività di insegnamento in tutto e per tutto simile a quelle dei docenti di ruolo (associati, ordinari). Leggi tutto "Spettri di Università: Chi sono i precari della ricerca?"