Christian Caliandro
Due episodi che più lontani non si potrebbe: le elezioni midterm negli Stati Uniti e gli scontri al corteo Ast. Barack Obama e Maurizio Landini. Eppure, ad accomunarli e ad avvicinarli dalle due sponde dell’Atlantico c’è un elemento centrale: la gestione della comunicazione.
1.
Obama è politicamente un sole al tramonto: lo certificano queste elezioni, che d’ora in poi lo ingabbiano e lo paralizzano nella condizione proverbiale e poco invidiabile di “anatra zoppa”. Con la maggioranza contraria alla Camera e al Senato, infatti, vedrà sistematicamente invalidate sia le sue iniziative di legge sia le future nomine. Il Presidente che più di tutti, forse, negli ultimi decenni – dai tempi di John Fitzgerald Kennedy e addirittura di Franklin Delano Roosevelt – era riuscito a catalizzare un’attenzione straordinaria, addirittura planetaria attorno a sé e alla sua figura simbolica, costruendo una narrazione epica che penetrava singolarmente nell’immaginario collettivo e popolare, si è sciolto come neve al sole. Rispettando una regola aurea della politica e della vita: più alte le aspettative, più cocente la delusione se queste aspettative vengono poi clamorosamente disattese.
E perché sono state disattese? In effetti, la questione è centrale nella vita politica contemporanea, e nella formazione della cosiddetta opinione pubblica. Ci troviamo qui all’incrocio esatto di parecchi problemi che riguardano anche (e forse soprattutto) noi italiani in questo momento, e che possono essere sintetizzati in una domanda ulteriore: che cosa succede se sistematicamente al discorso non segue l’azione, se la comunicazione precede e annulla il livello della decisione, se la dimensione mediatica presuppone e oscura quella costruttiva? In definitiva, è come assistere alla superfetazione di una realtà parallela, in cui figurine si agitano e recitano le azioni, le politiche davanti agli spettatori-cittadini: arriva però il momento in cui la realtà-realtà, la realtà 1 se vogliamo, sbatte nella polvere la realtà 2 - la dimensione finzionale parallela.

2.
È precisamente quanto sta accadendo in America in questo momento. Il dispositivo della comunicazione si è inceppato, quello dell’elaborazione e della produzione dei contenuti simbolici è esaurito, e l’influenza sull’immaginario collettivo è andata da un’altra parte. Nonostante gli indubbi successi nella sfera economica, questa presidenza verrà molto probabilmente ricordata per una riforma sanitaria stiracchiata e poco altro. Pochino, per entrare nella Storia. La differenza sostanziale con un Roosevelt, per esempio, è che il New Deal riuscì a saldare magnificamente l’immaginario e la pratica, la cultura e l’intervento nella realtà: John Steinbeck e Walker Evans con la ricostruzione dell’infrastruttura materiale, economica, sociale. Certo, c’erano i famosi discorsi del caminetto, che inaugurarono una nuova, diretta forma comunicativa del Presidente con i cittadini e introdussero una meravigliosa “aria confidenziale” nel discorso politico: ma non c’era solo quello. L’obiettivo fondamentale era sempre e comunque, infatti, la trasformazione della realtà sociale: attraverso una miriade di politiche e di interventi innovativi, come per esempio la riforma agraria, patrocinata dalla rivoluzionaria e dimenticata figura di Henry A. Wallace, Ministro dal 1933 al 1940 e vicepresidente dal 1941 al 1945. Mi sbaglierò, ma non ho visto molti Wallace nell’amministrazione americana di questi sei anni.
3.
E ora, veniamo a Maurizio Landini e agli scontri del 29 ottobre durante il corteo Ast in piazza Indipendenza a Roma: certamente, questo episodio una volta incastrato nel framework interpretativo dei media nazionali, diventa ciò che deve essere – viene cioè stiracchiato, deformato, svuotato. Ma proviamo a guardarlo per gli elementi che presenta. Proviamo a osservare le immagini, per esempio, delle riprese di Gazebo. Siamo nel fuoco della battaglia, per così dire: il nostro punto di vista coincide con quello intermedio tra le due parti della contesa, polizia da una parte e lavoratori dall’altra. Le immagini sono confuse, movimentate, agitate, quasi da cinéma vérité. Il campo è molto ristretto, la scena confinata in un angolino, un budello. E poi, subito dopo che sono partite le manganellate, irrompe in campo con potenza e efficacia dalla destra dell’inquadratura una figura totalmente nuova, inedita – almeno in tempi televisivi – di leader. Si protende verso i poliziotti, urla di fermarsi: la mano del lavoratore che gli protegge la sommità della testa ha un impatto simbolico devastante nella sua semplicità.

Cioè: da una parte abbiamo politici inavvicinabili, chiusi ermeticamente nelle loro auto blindate o nel cerchio delle bodyguard; dall’altra, un leader che guida, che non ha paura di lanciarsi nella mischia – non per fare a botte, ma per proteggere i suoi. Davvero come in un romanzo di Steinbeck. Il tutto prontamente ripreso da parecchie telecamere. Io credo che davvero siamo in presenza di qualcosa di nuovo: una figura “politica” che riesce a infrangere il circuito smaterializzante della rappresentazione, della finzione, della riproduzione, della comunicazione fondendo (pasolinianamente, quasi, è il caso di dirlo) il corpo con la mente, con il pensiero; ricongiungendo la materialità e il progetto, riconnettendo la visione alla realtà della vita individuale e comune. E si becca infatti una bella manganellata – con tanto di sonoro schiocco - sulla mano destra mentre urla “Basta! Basta! Basta!”. E subito dopo: “Ma cosa state facendo???”. Ecco: che cosa stiamo facendo?
New New Italian Nice Epic!