
a cura di Paola Splendore
Nata a Madras nel 1975, da madre gallese e padre gujarati, Tishani Doshi alterna scrittura e danza come le due forze guida della sua vita. Dopo gli studi negli Stati Uniti, nel 1999 si trasferisce a Londra dove lavora per la rivista patinata“Harper’s & Queen”. L’esperienza è poco gratificante e nel 2001 fa ritorno in India con l’idea di diventare istruttrice di scuba diving. Ma l’incontro con la celebre danzatrice e coreografa Chandralekha, un’icona della danza indiana, dà una svolta impensata alla sua vita: comincia a danzare ed entra a far parte della sua compagnia. All’intenso rapporto con Chandralekha, alla danza e alla riflessione sul corpo come “luogo della politica, della sessualità, del tradimento e della scoperta” si ispirano le poesie della sua prima raccolta, Countries of the Body (2006), che si aggiudica vari premi. Nel 2010 la scrittrice pubblica un romanzo sulla storia della sua famiglia, The Pleasure Seekers, tradotto in varie lingue (in italiano Il piacere non può aspettare, Feltrinelli), e nel 2012 la seconda raccolta di versi, Everything Begins Elsewhere, da cui sono tratte alcune delle poesie qui tradotte. La poesia “The Day we went to the Sea”, scritta dopo lo tsunami del dicembre 2004, ha vinto il premio All India Poetry. (p.s.)
Il giorno in cui scendemmo al mare
Il giorno in cui scendemmo al mare
le madri di Madras scavavano
la Marina in cerca dei figli perduti.
I tetti di paglia volavano nell’aria, i prigionieri
erano in fuga, le case danzavano come un pericolo
al vento. Vidi una donna stringere
in mano l’orlo lacero del mondo
e guardare oltre il tempio
rimasto ancora in piedi, come lei –
miracolosamente intatto nelle macerie dello sgargiante
sole indiano. Quando si portò
l’altra mano alla fronte,
con un gesto pieno di grazia,
fu come se lei sola potesse cambiare le cose,
condurci alla muta salvezza del nostro letto.
Ritorno
Avevo dimenticato che Madras ama il rumore –
ama i vicini e le donne incinte
divinità e bambini
e i bramini che si alzano
come inni di fuoco a bruciare l’aria
ad ogni terremoto.
Che i cortei funebri passano rumorosi
per le strade con tamburi e petali di rosa,
assordando la morte a passi di danza.
Che i venditori e i gatti lanciano
canti d’amore sulle pareti delle camere da letto e nei vicoli
di notte, teatrali e oscuri.
Che le auto in retromarcia cantano Jingle Bells
e gli scooter hanno laringi da camion.
Che perfino il colore non sa mai starsene quieto.
Le pescivendole in rosso ruggente –
portano gonne e un terzo occhio infuocato
e bracciali come pianeti stridenti
e le donne tamil nella passeggiata del mattino
in sari gelsomini e scarpe di ginnastica
possono lacerare il giorno e i suoi esili silenzi.
Avevo dimenticato che un moribondo sotto lo scafo
di una barca sfasciata potesse implorare promesse;
che queste fossero silenziose come il mare
in un giorno ferito, che modifica il manto
della terra come fa il sole che filtra –
la pioggia del monsone che separa ogni cosa.
Lezione di quiete
Per tutta la mattina cerco di fermarla -
la disperazione di una mosca
che sbatte sul vetro,
il latrato lontano di un cane,
il vibrare sordo di un camion
che si arrampica su per le colline.
Nel pomeriggio mi pare di esserci riuscita.
Niente di quello che mi offre il mondo
può essere così perfetto e assoluto.
Quando esco alla luce,
non ho un canto per le pietre
né un pensiero per l’erba.
Voglio solo ricordare
questo lunga strada
questo fremito costante,
che sembra quasi amore.
Così quando la sera
si tuffa nella notte,
liberando il cammino
alla brina e allo sgelo
mi resterà ancora questo –
la vivida asfissia dei fiori
il peso delle ore del giorno.
La magia del piede
"Pensa alla magia del piede, così piccolo,
su cui poggia tutto il peso del corpo.
E’ un miracolo e la danza è la celebrazione di quel miracolo.”
Martha Graham
Dopo
quando il corpo
non è più tuo
quando è ancora là fuori
nell’oscurità di ieri sera
che cerca di raggiungere
il sublime
quei piedi come viticci
che lambiscono il dorso
del palcoscenico,
Dopo che le luci
e il clamore degli applausi
si sono levati nelle strade
e scivolati
in appartamenti sconosciuti
per fermarsi tra arazzi
e libri di filosofia
come avanzi,
Dopo tutto questo
non sorprenderti
di trovarti
di nuovo nella stessa posizione
stesa sul pavimento della camera da letto
a gambe spalancate
come uno scrigno
le cerniere
cantano odi alla gioia
e i piedi
questi piccoli miracoli
si spingono in alto e intorno
finché non si congiungono
come mani
che si incontrano frementi
indimenticabili.
Canto del migrante
Non parliamo di quei giorni
in cui i chicchi di caffè riempivano la mattina
di speranza, quando gli scialli delle nostre madri
erano appesi come bianche bandiere sui fili del bucato.
Non parliamo delle lunghe braccia del cielo
che ci cullavano al crepuscolo.
E i baobab – non cerchiamo di ritrovare
la forma delle loro foglie nei nostri sogni,
né di evocare il vocio degli uccelli senza nome
che cantavano e morivano nelle grondaie della chiesa.
Non parliamo di uomini,
strappati di notte dai loro letti.
Non pronunciamo la parola scomparsi.
Non ricordiamo il primo odore della pioggia:
Servirà solo a farci rimpiangere l’infanzia.
Parliamo invece della nostra vita adesso –
i cancelli, e i ponti e i negozi.
E quando spezziamo il pane
nei caffè e nelle cucine
con i nostri nuovi fratelli,
non li opprimiamo con storie
di guerra e di abbandono.
Non nominiamo i nostri vecchi amici
che si disfano come favole
nelle foreste dei morti.
Nominarli non li riporterà indietro.
Restiamo qui e aspettiamo che arrivi
il futuro, che i nipoti parlino
in due lingue del paese
da cui veniamo.
Raccontaci com’era, potrebbero chiederti.
E tu potresti forse raccontargli
del cielo e dei chicchi di caffè,
di piccole case bianche e strade polverose.
Potresti far galleggiare la memoria
come una barchetta di carta su un fiume.
Potresti pregare che la carta
sussurri le tue storie all’acqua,
che l’acqua le canti agli alberi,
che gli alberi non smettano di urlarle
alle foglie. Se resti fermo
e non dici niente, potresti sentire
la tua vita riempire il mondo
fino a che il vento sia la sola parola.
avevo dimenticato che Madras ama il rumore… Tishani Doshi su alfaIndia online @carlopizzati http://t.co/3i2EXwAPXw via @sharethis
Dopo lo tsunami. Poesie di Tishani Doshi http://t.co/cIs0cuyejd via @sharethis
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