Carlo Formenti
Per leggere il voto occorre partire da tre dati di fatto: 1) centrodestra e centrosinistra hanno perso, complessivamente, più di dieci milioni di voti; 2) come ha scritto Bifo, se sommiamo astensioni, voti per Berlusconi e voti per Grillo, vediamo che i tre quarti degli italiani hanno detto di no alle politiche di austerità imposte dalla Comunità Europea; 3) l’elettorato ha preso a ceffoni sia Vendola, per avere rinunciato a fare una opposizione coerente al neoliberismo; sia gli altri cespugli della sinistra radicale, per essersi accodati alla triade Di Pietro, De Magistris, Ingroia. Per spiegare perché è andata così, credo di debbano sfatare tre luoghi comuni: 1) che il Movimento5Stelle non ha un programma politico; 2) che ha vinto perché in Italia non esistono movimenti come Occupy Wall Street; 3) che la sinistra non poteva fare di meglio perché la crisi le impone di condurre battaglie difensive, attestandosi sulla trincea della legalità e dei diritti fondamentali.
Primo punto. Il Movimento5Stelle non solo ha un programma, ma molti punti di tale programma dovrebbero suonare graditi alle orecchie di una sinistra degna di chiamarsi tale: salario di cittadinanza, no alla Tav, ripristino dei fondi tagliati a scuola e sanità, abolizione della legge Biagi, riduzione dell’orario di lavoro; nazionalizzazione delle banche; riduzione delle spese militari e dei finanziamenti ai partiti; abolizione del fiscal compact. Dunque il programma c’è, e rispecchia la composizione di classe - sia tecnica che politica – del movimento. Vedi le valanghe di voti che i cittadini della Val Susa e la classe operaia di Taranto – due punti “alti” del conflitto di classe oggi in Italia – hanno rovesciato su Grillo. Vedi l’esito delle indagini sulla composizione della folla che ha partecipato al comizio conclusivo a San Giovanni: quasi la metà aveva votato a sinistra e quasi il 30% si era astenuto nelle precedenti elezioni.
Mi pare evidente che la maggioranza del popolo grillino appartiene alle classi subordinate, con una forte componente giovanile e femminile, un “blocco sociale” cui si sono aggregati - grazie alle promesse di sostegno alla piccola impresa – artigiani, bottegai e altri membri della piccola - media borghesia. Il collante ideologico è dato dal disprezzo per la “casta” politica e dal rifiuto della democrazia rappresentativa, associati alla rivendicazione di forme di democrazia diretta e partecipativa. Quanto ai quadri che svolgono, all’ombra del leader carismatico, il compito di esercitare l’egemonia politica, sono perlopiù membri della “classe creativa”, come conferma l’entusiasmo per la Rete come strumento di mobilitazione, dibattito interno e organizzazione
Secondo punto. Basta con le lagne sul fatto che qui non c’è Occupy. L’epopea nata a Zuccotti Park e stata gonfiata a dismisura, ma una recente ricerca di tre sociologhe americane sfata molti miti. Il movimento è fatto in maggioranza da giovani intorno ai trent’anni, bianchi, maschi, provenienti da famiglie benestanti, laureati e/o dottorati. Una composizione elitaria parzialmente bilanciata dalla presenza di precari, freelance in cattive acque e neolaureati carichi di debiti. Quasi tutti lavorano in settori come l’industria culturale, l’educazione e campi analoghi, per cui è chiaro che ci troviamo di fronte allo strato inferiore dei knowledge workers, cioè a quelli che, invece di venire cooptati nelle stanze del potere, sono stati massacrati dalla crisi. Uno strato che ha tuttavia fallito l’obiettivo di egemonizzare altri gruppi subalterni, rivelandosi sotto questo aspetto più debole di 5Stelle. Certo non hanno sfornato leader carismatici alla Grillo, ma l’esasperato “orizzontalismo” di modelli e prassi organizzative ha generato effetti contro intuitivi, favorendo le idee dei più “bravi” (bianchi, maschi, super istruiti, ecc.) a scapito di quelle di donne, neri e altre minoranze. In conclusione: non sono poi tanto meglio dei grillini.
Terzo punto. Perché la sinistra dovrebbe rassegnarsi ad assumere un atteggiamento difensivo? Perché accettare le malinconiche considerazioni di Gianni Vattimo, che, in una recente intervista, ha detto che “non esiste un’alternativa rivoluzionaria al riformismo”; che possiamo solo lottare “per ottenere un capitalismo meno feroce e sanguinario”; che bisogna costruire “una sinistra di legalità e diritti” (i diritti sociali ce li hanno già tolti, e la legalità, quando reprime i militanti che si difendono dalla repressione, da Genova alla Val di Susa, non merita applausi). Chi ragiona così è alla coda dei milioni di italiani che hanno votato contro la governabilità, il fiscal compact e la No Tav, che non si accontentano più di scegliere dei politici che “li governino bene”, ma vogliono autogovernarsi. E visto che viviamo in un sistema post democratico, il vero dilemma è dove ci condurrà la rabbia popolare contro il finanzcapitalismo: totalitarismo di destra, o civiltà post capitalista? Per raccogliere la sfida servono coraggio e idee, perché oggi l’assenza di coraggio e idee si chiamano viltà e idiozia.
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Condivido appieno Carlo Formenti. L’unica possibilità per una sinistra che si voglia ricostruire è partire da quanto espresso da piazza san giovanni, da quei contenuti che al di la di Grillo sono certamente i nostri
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Linko un articolo di Carlo Formenti…abbastanza positivo vs M5S
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Piccolo delirio post-elettorale
28 febbraio, 2013
Nessuna analisi del risultato elettorale può considerarsi tale, se non incomincia con il fatto che la legge sul conflitto d’interesse esiste: è la n.361 del 1957 [art.10 (T.U. 5 febbraio 1948, n. 26, art. 8)], che impedisce in sostanza a soggetti come il sig. Silvio Berlusconi o chi per lui e chi come lui, di concorrere in elezioni politiche e amministrative italiane.
Questa legge è contemplata con le altre dal codice penale vigente in Italia, la Magistratura ha il dovere di applicarla per farla rispettare, se non lo fa viene meno alla sua funzione istituzionale e deontologica, quanto meno, ma questo è un discorso a parte sul quale si ritornerà…
Detto questo, si può procedere a fare disamine post-elettorali più o meno giornalistiche con le quali cercare di capire quel che è successo, ma soprattutto quel che succederà: quel che è successo è che il solito disco rotto del paese spaccato a metà si è trasformato in quello del paese spaccato in tre, quello delle “3-B” (Bersani-Berlusconi-Beppe), distanti anni luce uno dall’altro, eppure in cerca di accordi inverosimili per governare un paese stremato e in cerca di una nuova identità da offrire al mondo nella speranza di non essere scaricato una volta per tutte e chi s’è visto s’è visto. L’identità è a portata di mano ma c’è un prezzo da pagare: bisogna seppellire definitivamente quella vecchia. Seppellire significa interrare un cadavere in maniera rituale (ognuno ha la sua) sì, ma soprattutto perché dopo qualche giorno puzza e può essere fonte di malattie epidemiche, detto fuori dai denti. Ma l’Italia non potrà mai farlo perché legata intimamente ai proverbi (sai la strada che lasci ma non sai quella che trovi, due palle così!), alle superstizioni e quindi alla religione, ai santi e alle madonne, all’eterosessualità e alla monogamia, alla famiglia e ai suoi valori costi quel che costi, e quindi è legata mani e piedi all’idea mafiosa dell’esistenza, cioè a quella della tribù con il suo Grande Capo (che oggi si dimette) a cui si perdona tutto, anche di aver protetto i suoi ministri accusati di reati gravissimi come la pedofilia e non solo. Ma continuerà a portare la croce. Ma di quale croce starà mai parlando, se il suo Regno vanta 2mila miliardi di euro in proprietà immobiliari esentasse? Che coincidenza! E’ il debito pubblico italiano! No? Quindi i soldi ci sono, lo sappiamo tutti. Bisogna andare a prenderli. Capito?
Quel che succederà: un Gran Walzer, che lèvati “Il Ballo delle Debuttanti”, ogni riferimento è puramente casuale. Bersani apre a Beppe ma Beppe sbatte la porta; Berlusconi apre a Bersani ma Beppe sbatte la porta; Beppe apre a Bersani ma Berlusconi grida “Ecco comunisti!” in un turbinìo senza fine ci sembrerà a un certo punto, ma poi come ogni destino di ogni trottola, la trottola si sfianca da sola e si ferma e stramazza più o meno nel punto dove aveva incominciato a girare: nuove elezioni in autunno.
In autunno i numeri cambieranno perché la paura fa novanta: abbiamo rischiato di vedere di nuovo un uomo in un mare di guai giudiziari alla guida del Paese, quando codice penale alla mano, non si sarebbe potuto neanche presentare come candidato a pulire i cessi di Palazzo Chigi, altro che farci le riunioni con i suoi compari tipo Gianni Letta, Dell’Utri, Scajola, Confalonieri e compagnia cantante (e non è solo un modo di dire, ci canta davvero con questi delinquenti). Chi non ha votato PD perché non voleva turarsi il naso, questa volta lo farà e lo faranno anche quelli che hanno votato Berlusconi per avere il rimborso dell’IMU: prendetevela nel culo, cafoni!
Quindi il PD avrà una maggioranza solida sia alla Camera che al Senato e forse potrà pensare davvero di dare una nuova identità all’Italia, guardando da Sinistra a sinistra, fatta di modernità, laicità, progresso, bene comune con lungimiranza, perché navigare a vista si deve quando si è in tempesta, ma poi arriva la quiete e bisogna guardare lontano, il più lontano possibile…
Franco Pancotto
dilemma post elettorale di @cformenti : totalitarismo di destra o civiltà post capitalista? http://t.co/WaYNowCmFi
Formenti, autore di “Cybersoviet”, non spende una parola sulla validità, o meno, del modello di democrazia digitale utilizzato dai 5 Stelle. Inoltre, pur essendosi a lungo concentrato sulle differenze tra movimenti sociali europei e statunitensi, utilizza proprio l’esempio di Occupy negli Usa per dire che non sarebbe stato auspicabile che lo spazio politico di Grillo fosse stato occupato da altri movimenti.
Non mi convince.
@cformenti sul M5S. L’autore di Cybersoviet non analizza proprio l’uso di Internet di Grillo. Non mi convince. http://t.co/AkBwmQYpZJ
“Il Movimento5Stelle non solo ha un programma, ma molti punti di tale programma dovrebbero suonare graditi alle… http://t.co/lOfj0FgRWF
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